Binari
Il rumore delle ganasce gli provocava un brivido intenso, una sensazione che invadeva la carne come un’onda. Dopo anni non si era ancora abituato, non lo avrebbe mai fatto forse. Eppure, quella linea ferroviaria faceva parte della sua vita: era un luogo in cui si riassumeva qualcosa. Così, quando aveva deciso di cambiare, lo aveva fatto con un fondo di tristezza, sicuro di lasciare tra i binari una parte di sé.
Per ingannare il tempo del viaggio, le aveva provate tutte: libri, musica, computer. Con un solo scopo: smettere di pensare. Perchè era un po’ codardo e temeva maledettamente i pensieri. Alcune mattine iniziava persino a lavorare: da lì, da quell’ufficio improvvisato soffocato nel brusio della gente. Apriva il portatile, premeva il tasto grigio di accensione e, sfregandosi il viso, ripassava le questioni del giorno. Erano dubbi da informatico disilluso. Problemi più o meno fastidiosi che ronzavano nella mente come zanzare in una palude. Con uno zelo decisamente pedante, si chiedeva che fine avessero fatto i propri sogni. Se fossero ancora seducenti, plausibili o, semplicemente, meno osceni di quanto suggerito dall’età. Se fossero nascosti da qualche parte o vagassero tra i binari, nei ciottoli che sostenevano il rantolo dei treni. Ahimè, parevano evaporati chissà dove, tra le nebbie in cui sprofondava la città. Allora pensava se stesso giovane e squattrinato, in giro per le aule univeritarie, gonfio del segreto intento di conquistare il mondo. E non riusciva a smettere di commiserarsi adesso che dalle ceneri di quel passato emergeva un Bill Gates sconfitto. L’ennesima riproposizione del “sogno americano” all’italiana.
Un paio di mesi prima, in mezzo a questa cappa di amarezza, era spuntata Giulia. L’aveva incrociata molte volte ed evitata con altrettanta cura. “Sarà acida e superba”, si era detto con quella facilità di giudizio che costituiva il suo peggior difetto. “Guarda tutti con disprezzo, la milionesima figlia di papà che calpesta le banchine della stazione”. Eppure per Marco si trattava di una mosca bianca nel fiume in piena dei pendolari.
“Come farete voi informatici ad orientarvi tra tutte quelle scritte verdi? Credo sarà sempre un mistero per me…”, gli aveva detto un giorno. Erano seduti accanto e lui rimugginava problemi misteriosi dinnanzi allo schermo del PC. Il mistero di cui parlava Giulia sarebbe cresciuto nel tempo e diventato via via più grande. Molto più del previsto.
Lei era una trentenne di bell’aspetto, inquieta e annoiata dal solito tran tran. Aveva poche rughe che copriva meticolosamente e mani curatissime, con unghie sempre perfettamente laccate. Amava il proprio lavoro, divideva la vita con un uomo raffinato, coltivava interessi che riempivano il tempo libero e persone che lo allietavano. Non le mancava nulla. Almeno in apparenza. Ma questa era una bugia, lo è per tutti… e lo era anche per lei. Così incatenava tra le ciglia la propria lista di lamentele da inviare al destino.
Marco aveva dieci anni di più e un bagaglio di segreti dolorosi conficcati nella pelle. Si trattava dei segni di un disappunto che superava l’amarezza fino ad incunearsi in qualche angolo profondo e inaccessibile. La ragazza aveva deciso meritasse un’indagine più attenta: nulla di meglio per sconfiggere la noia dei viaggi mattutini.
Cambiavano treno in una piccola stazione di periferia. Ma la coincidenza saltava spesso e si ritrovavano a colazione tra le occhiate curiose dello stesso, infaticabile barista. L’uomo li considerava la più improbabile coppia di amanti fedifraghi della propria carriera di spione. Tuttavia, i suoi sguardi penetranti andavano ben oltre: diventavano carichi di invidia, lambivano i confini di un territorio in cui insoddisfazione e fantasia creano con la plausibilità del reale. Afferrando qualche parola, aveva intuito, a ragione, parte della verità. Lei viveva una relazione tormentata, di cui si lamentava con regolarità e lui la ascoltava incolpevole sognando di baciarla.
Intanto il tempo passava e Giulia non riusciva a spiegarsi cosa stesse accadendo. Inizialmente, aveva provato una sorta di repulsione incosciente per il corpo di Marco, il magnetismo inverso che impedisce molti amori. Ma poi le cose erano cambiate. A poco a poco, aveva iniziato a fare ciò di cui non si sarebbe mai creduta capace: guardare oltre. E lo aveva fatto sino a non evitare imbarazzanti confronti tra l’uomo con cui viveva, e che sulla carta l’avrebbe dovuta sostenere, magari “facendola felice”, e quello sconosciuto dal cui fascino era stata rapita.
La parola fascino per Marco era misteriosa almeno quanto la parola fede. E su entrambe aveva maturato un’unica semplice certezza: di esserne sprovvisto. Ma questa verità era decisamente più onesta riguardo alla seconda questione che alla prima. Giulia, invece, non aveva mai avuto problemi ad attrarre le persone. E, come tutte le donne, era ben preparata a respingere gli attacchi degli uomini. Tuttavia, si sa, avere troppa scelta è pericoloso almeno quanto averne troppo poca. La compagnia di un uomo disposto ad ascoltarla era qualcosa che aveva sperimentato di rado e a cui non si sarebbe mai abituata. In fondo era questo ciò di cui aveva veramente bisogno. Così lo stupore della scoperta si era trasformato in un legame più intenso che l’aveva rapita.
Ma ci sono molte ragioni che ostacolano gli incontri. Molte più di quelle che li favoriscono. Tempo, pigrizia, noia, umore, svogliatezza, superficialità. Marco le avrebbe potute elencare tutte con la stessa solerzia usata nel proprio lavoro. Aveva perso il conto, per esempio, delle volte in cui si erano dati appuntamento nel weekend… una farfalla sbatteva le ali chissàddove e tutto sfumava via senza motivo. Allora facevano finta di niente e non ne riparlavano per un pezzo. Poi ci riprovavano ancora in un gioco sadico che continuava da mesi, come se la loro presenza al di fuori dei binari fosse impossibile e uno strano incantesimo li legasse a coordinate spazio-temporali precise.
Quella mattina Giulia aveva litigato col suo uomo in maniera così pesante da essere lì lì per lasciarlo. Ed era corsa tra le braccia di Marco come spinta da una tremenda minaccia: l’ombra spaventevole che i più svegli chiamano “paura di restare soli”. Eppure in questo nostro universo di contrari la solitudine non sempre è paura. Ed esistono solitudini diverse. Marco, per esempio, odiava la sua: era un tafano che punzecchiava la vita. Giulia non la conosceva, ma ne sfuggiva inconsciamente la minaccia; così si era precipitata tra le braccia dell’amico ora che una lite furente incrinava il piccolo universo dentro cui sentirsi protetta.
“Come fai a stare sempre solo?”, chiedevano a Marco. E non c’era nulla di più irritante di quella domanda. Quanto a Giulia, lei non l’aveva mai fatta. Perché nel cuore di lui c’era sempre stato posto per lei. Un angolo tranquillo in cui accamparsi come fa il viaggiatore stanco, sorpreso dalla notte. I tentativi della gente di farlo sentire diverso erano abbastanza sciocchi. Diverso… quanto avrebbe voluto esserlo veramente! Se la vita avesse avuto un senso avrebbe detto stesse nella parola “diversità”. E nel suo caso sarebbe stata davvero una menzogna. L’ansia che provava non era frutto di nessuna rimarchevole singolarità. Un tempo aveva creduto di essere una specie di genio incompreso dei computer… l’uomo da prima pagina destinato a cambiare il modo di vedere l’informatica. Ora che la statistica lo condannava alla mediocrità e ogni goccia di speranza era svanita nel nulla, c’era un unico modo di trovare la serenità: fuggire.
Passava le giornate a misurare il coraggio della fuga. Un coraggio disumano che gli si avvitava dentro facendolo tentennare. “Dovrai lasciare tutto”, si diceva impaurito, “ma cos’hai di ciò che volevi veramente? Proprio tu che ti sei sempre rifiutato di seguire strade già battute… stai invecchiando tra le braccia di un destino scritto chissàdove”.
Giulia era in lacrime. Piangeva senza pensare, come si respira. Marco l’aveva baciata sulla guancia dopo averle sollevato il mento. Quel bacio era un tradimento e lo sapeva. Almeno Giuda aveva riscosso i suoi trenta denari… invece a lui non spettava nessuna ricompensa. Un mese prima si era presentato dal capo del personale lasciandolo sbigottito: dimissioni. E il tempo era volato fino all’ultimo, incredibile giorno di lavoro. Intanto aveva custodito il proprio segreto con tutta la gelosia di cui era capace. C’erano state tante piccole occasioni per svelarlo. Decine di momenti in cui dire: “Sai, tra qualche giorno vado via…”. Una mattina le aveva persino parlato carezzando nella tasca il biglietto di sola andata per Sidney. Sola andata… non era forse questo il senso di tutto?
– Ho deciso di lasciarlo…
– Pensaci bene…
– Cosa c’è da pensare ancora? Sono fuori di testa! Non ce la faccio più ad essere ignorata. Ho bisogno di qualcuno che mi abbracci, che mi stia vicino… non di un idiota che passa la vita a guardare le partite in TV.
Nell’atrofia sentimentale in cui era precipitato Marco, le frasi di Giulia rimbalzavano come gomma. Era terribile vederla soffrire. Eppure, troppe volte il racconto della felicità di lei si era conficcato nel suo petto come un coltello. E lui aveva provato odio per quella felicità e rancore per la persona che gliela aveva sbattuta addosso. Così, alla fine, aveva scelto. Scelto di fuggire dal mondo inospitale in cui lo avevano ficcato. Di fuggire dalla vita mediocre che sentiva non appartenergli. Ma, anche, di fuggire dalla sua compagna di viaggio e dall’incostante insoddisfazione che gli riversava addosso. A quest’ultima si alternava la descrizione indiziaria di una gioa profonda che Marco detestava e che si alimentava più di supposizioni che di certezze. Un giorno Giulia avrebbe potuto mettere fine alla sua relazione malata e innamorarsi di lui. Ma se certe mattine i loro cuori parevano battere all’unisono, altre si ritrovavano disperatamente distanti. Lei si raccontava senza pudore, in una pioggia di momenti belli e brutti lesti a mescolarsi come le testimonianze di un processo e nel continuo tentativo di dimostare a se stessa una soddisfazione sfuggente, restava perfettamente incurante di chi le stava al fianco.
– Oggi vado via…
– Non ho chiuso occhio tutta la notte!
– Hai capito? Ho detto che vado via…
– In che senso?
– Mi trasferisco in australia.
– Scherzi?
– No, mai stato più serio.
A quelle parole, Giulia gli si era gettata al collo. Non aveva chiesto altro perché, in un istante, aveva capito ogni cosa. Si erano abbracciati con tutta la dolcezza di cui erano capaci. I passanti li guardavano con la morbosa curiosità inoculata dalla sofferenza altrui. Erano seduti al solito tavolino, nel solito bar. E l’uomo dietro il bancone scriveva il proprio personalissimo capitolo conclusivo della storia.
– Spero che risolverai i tuoi problemi, non ti meriti di stare così male.
Giulia avrebbe voluto rispondere di portarla via con sé, lontana dalla gabbia di quotidianità che l’aveva resa prigioniera. Ma non lo fece. Per mancanza di coraggio forse o semplicemente per essere stata colta di sorpresa. Rimase instupidita, tentata da una forza sconosciuta. Avrebbe potuto pronunciare le parole delle favole in cui i protagonisti agiscono nella certezza del lieto fine. Parole istintive, troppo distanti dalla sua natura.
C’era un vento fresco quel giorno, pieno di cambiamenti. Soffiava lungo le rotaie sollevando polvere di ferro nell’aria carica di smog. Giulia ci aveva appeso le sue speranze di una vita migliore. Le pretese insoddisfatte della propria infanzia viziata, svanita per incanto dopo la morte del padre. Quella mattina ci aggiunse lo stupore per la rivalazione oscena della fuga di Marco. Una fuga inopportuna, arrivata nel momento sbagliato. Una fuga che l’avrrebbe incattivita e fatta disperare per giorni, finchè l’assenza avrebbe amplificato il disagio e il tempo avesse fatto il resto cancellando tutto.
Marco voltò le spalle e scappò via. Dalla sua amica, dai problemi di un lavoro deludente, illudendosi di farlo da se stesso. Mosse alcuni passi, incerti e tremanti, poi si fermò. Fece di tutto per non voltarsi. Giulia lo raggiunse dopo aver dimenticato completamente chi era e aver precipitato per qualche istante l’infelicità della propria condizione in un pozzo della mente.
– Non andare.
– Mi spiace.
Sulla banchina numero 3, tra un vociare di sconosciuti e il fischio tagliente del treno delle otto, Giulia sfiorò le labbra di Marco e salì sul vagone in partenza. Senza voltarsi, senza guardare, svanendo lungo gli stessi binari in cui si erano conosciuti.
Ció che rende insopportabile la vita è che il limite e la fragilità siano i suoi padroni , invece scoprire Che non sono l’ultima parola su di noi ci libera e permette di ricominciare a respirare e a desiderare il meglio.
Mi pare veramente ineccepibile come concetto…
Ti auguro felice fine settimana ,un abbraccio e un bacione !!!Elly
La consapevolezza dell’amore e della felicità, richiede forse di conseguire un livello di maturità più elevato, per essere vissuta e governata in maniera confortevole e serena…
non credo che sia solo un fatto di maturità… ma anche, è brutto dirlo, di rinuncia… se gli uomini capissero la mostruosità di chiedere ai loro simili la perfezione, certi valori tutti mentali si accomoderebbero meglio sulla terra.
Se fossimo maturi, oltre che consapevoli, non caricheremmo l’altro di obiettivi e di prospettive rosee da raggiungere ad ogni costo, si… appunto
la felicità e l’amore sono per te valori mentali?
Sì per me sono mentali, qualcosa che non esiste in natura… credo che anche la persona più capace di sentimenti "alti" non possa fare a meno di passare per la lista delle cose che vorrebbe da te… quanto al cercare obbiettivi da ragiungere ad ogni costo, intervengono istinti che sono incontrollabili e hanno poco a che fare con la razionalità.
Le tenui richieste, che vengano esaudite o meno, fanno parte del linguaggio limpido e sincero di tutti i sentimenti autentici.
Mentale… io no, non lo credo. Niente più dei sentimenti proviene da meccaniche divine.
Tenui richieste? E anche se lo fossero, proviamo a sommare dieci tenui richieste…
Sulle meccaniche divine non mi pronuncio, per me ci sono solo meccaniche umane/naturali.
Se questo è il tuo credo, l’importante è che ti faccia vivere bene
Dunque. Io necessito (è un mio ingranaggio personale che mi consente il ritmo nella lettura) di punteggiatura. Ammetto, talora, anche del tutto fuori luogo. E poi necessito di rileggere cosa che non ho ancora fatto e quindi la mia è una opinione (da illetterata e dilettante) di mero impulso su onde superficiali di contatto. Mi parla di condizionamenti, di tutte quelle ambizioni che crediamo, fino a che qualcosa interviene a far saltare in aria, nostre e non lo sono. Impianti educativi, di ideali e quant’altro. C’è chi nel trauma lo riconosce e da quel momento si assume la responsabilità del viaggio alla scoperta di Sé che comporta una lacerazione, spesso, con il mondo che invece non riesce a trarre dal danno, l’offerta e rema sostanzialmente contro.
Mi scuso per la lunghezza. Non posseggo dono della sintesi.
Ed il titolo, è un po’ una chiusa che dispiega il testo. Dopo averlo letto si rispiega.
Ecco, hai colto un punto che volevo fare passare… direi: dedicato a tutti quelli che riconoscono il trauma e si assumono la responsabilità del viaggio alla scoperta di Sé, con tutte le lacerazioni del caso.
Accenni e molto bello il passaggio dalle ciglia alle farfalle, appunto all’effetto farfalla.
Ciao Tolstoi hai scritto tanto….Ora non ho tempo ma passerò da te….Ciao
Mi piace molto come scrivi, almeno questo racconto mi è piaciuto molto, anche se un pò, in fondo in fondo, mi ha irritato. Forse mi aspettavo un finale da giornaletto rosa, soprattutto quando lei lo rincorre e gli chiede di non andare. Ma la vita non è così, almeno, la vita molto spesso non è così. Marco lascia tutto per cercarsi, per riprendere i propri sogni, e andare lontano in una parte di mondo che forse non ha mai visto e che neppure conosce. Si troverà? Servirà a qualcosa la sua ricerca? O forse comincia a cercare il giorno in cui accetta la sua sconfitta rinunciando ad una donna che poteva essere già un punto di nuovo inizio? E questo non è già cominciare male?
Perhé si ha sempre la sensazione che per trovarsi occorra andare lontano? Forse perché abbandonare tutto, lasciare tutto quello che abbiamo costruito, è un pò come cospargersi il capo di cenere, ammettere che siamo delle nullità, fare penitenza e sperare che la Grazia Divina ci dia un’altra possibilità? Ma se non siamo stati capaci di realizzarsi una volta, chi ci assicura che saremo capaci di realizzarsi una seconda volta?
Trovo il tuo raccontro affascinante, pieno di riflessioni e lo rileggerò sicuramente, scusa per la lunghezza del commento e per le mille domande che mi sono posta. Buona giornata.
diciamo che più o meno lo spirito voleva essere quello che hai captato tu… ma poi, ed è un interrogativo niente male, lei avrebbe davvero lasciato il suo compagno per Marco? Questo punto è volutamente aperto…
Chissà se lo avrebbe lasciato, e chissà se anche lo avrebbe lasciato per Marco se le cose fra loro sarebbero durate … una situazione così difficile e teoricamente sentimentalmente pericolosa, non poteva essere, per Marco, la strada giusta per mettersi in gioco e per scoprire se stesso? Un riscatto della propria vita, indipendentemente dal risultato, invece che scappare da perdente in un paese che non si conosce?? Una bella storia, mi ripeto, la tua!!
Grazie 🙂 Cmq non credo che il cambiamento (e non la fuga) sia da perdenti… è un atto che richiede molto coraggio; c’è di più, cambiare la prorpia vita per qualcuno è il modo giusto di cambiarla?
Certo che sì, anche se bisogna vedere perché lo si scelga quel qualcuno. Se quel Qualcuno è presente in se stessi è proprio il modo più giusto per cambiare la propria vita.
Altrimenti è la vita a scegliere e lei bastona senza indugio.
Secondo me, più o meno, sceglie sempre la vita…
Ci si può opporre o interagire da alleati o da nemici, della vita
Già il titolo "binari" è la metafora di un "non" incontro. Due vite che scorrono senza incontrarsi. Per incontrarsi occorre forse anche un tanto di generosità nel rendersi disponibile a scomodarsi un po’…Ciao Tolstoi, molto bello il tuo racconto, hai una scrittura coinvolgente.
. E’ un piacere leggerti.
Un bacio
sempre bello leggerti
Bello e triste, mi sembra appropriato.
Di passaggio, breadcrumbs. Ottimi scritti.
a volte, ci si incrocia soltanto…
Ammetto di aver letto il tuo racconto tutto d’un fiato e che molto probabilmente meriterebbe una rilettura più attenta. Ho poche considerazioni (non perchè il testo non ne smuova, ma perchè credo che molto sia già stato colto). Concordo nel dire che il cambiamento (e non la fuga), per quanto arduo o doloroso, sia spesso un’ancora di salvezza cui aggrapparsi per tornare a respirare. La fuga serve solo a lacerare ulteriormente ferite che non sono ancora totalmente cauterizzate. Al primo scossone, torneranno a sanguinare. Ciò che vedo in Marco è un uomo che ha camminato lungo strade costellate di illusioni (che sono state dapprima salvezza e successivamente condanna) e che ora cerca di proteggersi da chiunque possa sollevare la pesante coltre che utilizza per coprirsi il cuore. Disilluso? Ferito? Cristallizzato? Impaurito? Non è forse la medesima situazione in cui versa Giulia?
Più o meno tutti sono delusi di qualcosa… ma questa non è una ragione sufficiente ad incontrarsi; la gente si lamenta degli altri ma poi non è diversa dalle persone che critica.
Per me "gente" è un concetto astratto. Ci sono persone e vite. Ciascuno reagisce ai diversi eventi secondo quanto può o vuole fare. Entrano in campo davvero molti fattori: condizionamenti esterni, condizionamenti auto-imposti, esperienze precedenti, possibilità operativamente raggiungibili e tangibili e via dicendo. Certo che la delusione non è una ragione sufficiente ad incontrarsi, ma quando invece l’incontro potrebbe esserci (o c’è), è ragione sufficiente per non viverlo? Non ho risposte che vadano bene per la "gente", ogni persona sa porsi domande e cercare (se vuole) le risposte che reputa più opportune. Io nel tuo racconto ho letto sussulti, timori, coraggio nel scegliere di partire e di non fermare, ma anche forse ombre che anzichè stare dietro ai personaggi, li invadono e si proiettano nei loro domani
Sul fatto che ci si lamenti e non si sia diversi dall’oggetto delle critiche, possiamo dire che i meccanismi proiettivi esplicano gran parte di questo agire
Se vuoi puoi sostituire la gente con "noi"; quanto agli incontri che qualcuno si rifiuta di vivere, il motivo del rifiuto è raramente ciò che si dice… di solito è più intimo, oppure l’altra persona non piace veramente… nel racconto a Giulia Marco sarebbe piaciuto davvero? E la sua partenza per quale ragione le dispiace? Perchè sa di provare sentimenti importanti o perchè è disperata? Il più delle volte questi interrogativi non hanno risposta e nel racconto sono volutamente sospesi…
Il motivo per cui talvolta si rifiuta di vivere un incontro credo sia davvero intimo e come tale vada rispettato e protetto. Pretendere di definirlo dall’esterno è un esercizio legato a ipotesi e mai a dati certi. Ho apprezzato il fatto che taluni quesiti siano stati volutamente lasciati galleggiare sulla superficie del racconto. Lasciare libero chi legge di porseli e di dare o non dare risposte è a mio avviso un’ottima scelta (narrativa e umana). Se dovessi rispondere alle tue domande, direi che solo Giulia potrebbe conoscere davvero le risposte. Anche provare ad immedesimarsi sarebbe esclusivamente un esercizio empatico. Ma che fosse perchè in lei si mescolano sentimenti ed attrazione, che fosse per mera disperazione, il vissuto da lei esperito rimane quello riportato. In definitiva, per entrambi sarà proprio il "non vissuto" a restare come presenza forte nelle loro vite. Correranno per sempre l’uno nelle fantasie e nei "se" dell’altro. Paralleli ma indivisibili, proprio come i binari.
Personalmente credo che il motivo principale che ostacoli il cambiamento sia la mancanza di coraggio, una mancanza mascherata come altruismo o amore con una meschinità puramente umana… ho conosciuto un sacco di gente insoddisfatta che preferisce vivere nel dolore o nella menzogna dicendosi che ogni cambiamento non porterà nulla di meglio e che chiama questo sacrificio "amore per l’altro" quando ha solo paura di decidere veramente.
E’ risaputo, il primo passo verso il cambiamento è il più complicato e doloroso. Non tutti hanno il coraggio di affrontarlo e si giustificano nei modi che consentono loro di tollerare questa pseudo fuga. Per quanto personalmente io possa non condividerla, è una scelta e come tale va rispettata. Ognuno sceglie per sè…o non sceglie affatto. Il fine dovrebbe essere il benessere, proprio innanzitutto e secondariamente altrui (se non si è in equilibrio e orientati alla realizzazione, difficilmente si può stare con qualcuno senza farsi trascinare o trascinare. E’ quella giusta dose d’egoismo che consente la positiva sopravvivenza e condivisione). Non tutti giungono ad ascoltarsi e a difendersi; alcuni scelgono di sopravvivere esternamente e morire dentro.
torno a leggerti perchè qui trovo verità e bellezza..
scusami per le stupide frasi che ti avevo scritto..
pace?
grazie per i complimenti, spero di meritarli 🙂
solo constatazioni.. veritiere! 🙂
ciao
Proprio quello che mi ci voleva, un bel blog di Arte e Letteratura, sensato, ordinato.
Sto leggendo Kundera e mi stanno cadendo le braccia dal pressapochismo.
Gap
Kundera può non piacere, ma non credo sia da far cadere le braccia…
vedi? le uniche cose interessanti si attirano,
non mi ricordo niente di splinder, sono
una sbadata nata!
a presto.
caro nathan ma sto post è troppo lungo!!!! 🙂 dai che lo leggo
per kundera è obbrobrioso
non so come quel saggio maestro di Calvino lo teneva in una buona reputazione
ma a te piace tolstoj ho letto la morte di ivan illich di una tristezza e melanconia a go go
non finisce più! 😀
Mo ti devi subire il mio bel commento.
A livello empatico, non pchi mesi fa ho visualizzato "dei binari" interiori poichè si è concluso un ciclo della mia esistenza e credo fosse inevitabile.
Siccome vengo da una scuola di "impavidità", "struggle for pleasure" etc etc. Mi fa bene leggere qualcosa che sia un po’ più come me, la "placidità della luce", la "morbidezza" e la dolce analisi.
Ci sono degli errori di scrittura.
Un mio amico dice sempre che solo l’amore salva. A me mi sta salvando l’amore di Dio la poesia.
Odio gli informatici (perchè un mio professore mi sta facendo perdere la testa)
"il magnetismo inverso che impedisce molti amori" mi fa sorridere, solo gli amori sbagliati si impediscono.
Comunque ti sento molto simile a me nell’anima, sei candido e puro. Compassionevole, come me.
Io lo sto prendendo in culo su tutti i fronti, mi farebbe piacere sapere di che ne pensi, con la tua maturità e lucidità garbata.
fammi sapere su facebook che ti mando le mie poesie.
Allora:
– anche io sono sempre stato salvato dalla letteratura;
– sono un ingegnere elettronico prestato all’informatica… ahah
– Gli amori sbagliati sono i miei preferiti… quelli giusti sono banali… e forse non esistono neanche 😀
ciaO.. SONo rimasta senza pc e pertanto ho visto solo ora il tuo invito.. ripassero’ con piu’ calma a leggerti…. buon fine settimana Lucy
Hai un modo di scrivere davvero affascinante!
Non amo particolarmente i finali tristi, ma del resto sono e resteranno per sempre i più realistici. Siamo un po’ gli scacchi della vita e questi ‘scontri’ ne sono la lampante dimostrazione.
Per un attimo ero seduta a quel bar assieme a loro, così adesso mi dispiace sia per Marco che per Giulia. Ahimé, magari eravate "quelli giusti al momento sbagliato"!
Mi piace l’auto-ironia di cui è impregnato il racconto, lascia sfuggire qualche sorriso durante la lettura : )
In effetti quello che ha ispirato il racconto è stata proprio la scena del bar… una coppia di sconosciuti che vedevo ogni giorno quando andavo a lavoro. Direi che io ho costruito la mia storia proprio come il barista… 🙂
Un barista dotato di grande immaginazione, complimenti 😉
Hai un fantastico stile di scrittura…non ho altre parole! Stupendo…mi sembrava di essere lì…
Forse a lei mancaca quel pizzico di follia che ti consente, in un attimo, di mandare all’aria tutte le tue presunte certezze per accettare il rischio diandare verso l’ignoto…
Mi piace come scrivi, un saluto.
o di coraggio… ma la cosa più triste di tutte queste storie è il calcolo: il bilancio di convenienza fatto da ogni essere umano prima della scelta… una cosa che rende immediatamente nullo il senso della parola amore.
Quando l’amicizia è evasione, allora tutto svanisce, ma se l’amicizia è scoprire novità su di sé , desideri nuovi, possibilità, uno stile nuovo di vita, una nuova prospettiva sulla vita, non svanisce nel nulla.
Un grande abbraccio per un felice fine sttimana !!! Un bacione da Elly
bello e decadente…bravo.
la domanda è : TUTTO BENE?
senza voltarsi, senza guardare, svanendo via…. bel finale….
Hai sviluppato uno stile personale raro da trovare negli autori moderni. Sei scorrevole e attuale, ma al tempo stesso infondi atmosfera alle parole, come sapevano fare gli scrittori dell’Ottocento. Senza bisogno di dare un’ubicazione precisa alla vicenda si costruisce un luogo definito, mentre anche il protagonista assume un aspetto chiaro nella mente del lettore, pur in assenza di un ritratto. Personaggi plausibili, una vicenda non comune. L’occhio scivola e ne vuole di più e allora rilegge, riscopre e riapprezza. Sfumature, riflessioni, sereno compiacimento letterario. Una lettura che non lascia vuoti interiori, ma voglia di affrontare a testa alta.
Sei troppo buona… deve essere perchè siamo amici 🙂
aggiornami,
by blog abbandonato
Non riesco ad immaginare una fine diversa.